ABBASSA LA TUA TV PER FAVORE L’ultima nata si chiama Telefabbrica e trasmette a Termini Imerese, documenta le storie e le lotte dei lavoratori Fiat. Quante siano oggi in Italia le tivù di quartiere di preciso nessuno lo sa, un censimento l’ha iniziato Telestreet, che per il 14 dicembre ha dato a tutte appuntamento a Bologna per il primo meeting nazionale. La questione è semplice, diciamo televisione e pensiamo a Rai o Mediaset, neanche fossimo funzionari dell’Auditel, e invece per fare una televisione bastano mille euro, qualche nozione di elettrotecnica, una buona dose di volontà e un pizzico di coraggio. Per fare una tivù di quartiere, naturalmente. In principio furono gli artisti, entusiasti del nuovo media, dai futuristi della “Radia” del manifesto del 1933 dedicato anche alla televisione, “aspettando l’invenzione del teletattilismo del teleprofumo e del telesapore”, fino al “Manifesto per la Televisione” del gruppo Spaziale, quello di Lucio Fontana e Burri, anno 1952. La tv entrò poi in tutte le case, mentre i videomaker degli anni ’60 giravano con l’ingombrante “portapack”, telecamera portatile più videoregistratore, e vagheggiavano la televisione in prima persona. Il video da estensione dell’invidualità dell’artista è diventato media creativo prima e mezzo possibile di controinformazione poi. Sono apparsi il collettivo Videobase, Alberto Grifi, il Laboratorio di Comunicazione militante, solo per fare qualche esempio. Riprese, azioni e installazioni grondavano concettualità e metalinguaggio, oppure si ponevano direttamente come documenti politici, l’accusa era già allora il dominio sugli schermi televisivi di burocrazia e politica a scapito degli interventi di artisti e intellettuali, si moltiplicavano le analisi del mezzo, del suo uso sociale e politico, della sua economia, dei pericoli per il consumatore domestico celati nello scatolone che aveva finito col campeggiare in ogni tinello, sovrastato da un centrino con soprammobile a scelta. Se qualcuno ancora pensa che la storia della tivù sia la storia delle grandi reti e dei volti noti dovrebbe farsi un giro nel sito di Otg (www.otgtv.supereva.it), l’osservatorio radio-tv dell’area milanese, e leggersi Tv Historia. Dove si scopre che solo in Lombardia le esperienze televisive degli ultimi decenni sono state centinaia, da quelle più istituzionali sino alla “televisione nel furgone” che nel ’76 girava per Milano e trasmetteva nei quartieri, dall’emittente “emanazione di una nota galleria d’arte” a “Teleippica, service per le sale corse, con collegamenti dai vari ippodromi, che tentò l’espansione nazionale”. E di storie così è piena l’Italia. Infine è arrivato Berlusconi, prima al governo di Mediaset e poi a quello del paese e della Rai, e più di qualcuno ha pensato che la misura era colma. “La televisione fa schifo” non è più una boutade da cocktail in terrazza o da tressette all’osteria, è diventato parlare comune riferito al Tg1 come alla cacciata di Biagi e Santoro, più che alle trasmissioni in stile D’Eusanio o Cucuzza, tanto per restare nell’emittenza pubblica, che così pubblica non sembra più. Dopo l’indignazione, l’azione. C’è chi vuole minare il palazzo alle fondamenta, da Giulietto Chiesa con tutto Megachip che si è dato come obiettivo lo smantellamento dell’Auditel, a Umberto Eco che boicotta la pasta inserzionista per la Cunegonda. C’è chi semplicemente la tv la spegne. C’è chi insegue il sogno di un terzo polo dal basso, come Giancarlo Fabj e la sua campagna per mettere in piedi una LiberaTv (www.tv-libera.it) a cui chiunque può partecipare con 20 euro al mese, e poi ci sono i costruttori di tv di quartiere. E così, alla faccia del monopolista, sbocciano ovunque tv più o meno pirata, televisioni di quartiere o di condominio, pronte per l’etere, il satellite, il web, le pratiche sono quelle dell’autocostruzione e dell’autoproduzione, dell’autogestione e dell’autofinanziamento. Unico ostacolo la Mammì, che proibisce la detenzione per chiunque non sia titolare di una concessione governativa di un qualsiasi trasmettitore anche se rotto, reato penale, condanna minima sette mesi. Sembra un paradosso, se si pensa che anche il Cavaliere, nell’ormai lontano 1974, cominciò la sua carriera nell’etere proprio da una tv condominiale, quella Telemilano creata per Milano 2. Contro la legge sull’emittenza varata nel 1990, figlia del Caf e soprattutto dell’amico Craxi, avvocati e parlamentari sono al lavoro e promettono battaglia, brandiscono l’articolo 21 della Costituzione, quello che sancisce il diritto all’informazione, si richiamano al precedente degli anni ‘70, quando cadde il monopolio dell’etere e nacquero le radio libere. Non è un caso che Telestreet nasca a Bologna, da alcuni che già furono tra i fondatori di Radio Alice. Al forum di Firenze, mentre i Disobbedienti si affittavano un canale satellitare per Global Tv, il progetto internazionale HubTv trasmetteva poco più in là cronache dal movimento dei movimenti nel canale 60 Uhf. Al lavoro per HubTv si sono messe svariate sigle di mediattivisti, da Indymedia a Candida, “la prima televisione elettrodomestica” fondata da un gruppo di giovani romani che tre anni fa si ritrovarono a fare per qualche mese un programma per una tv privata. Candida (www.candida.thing.net) auto-produce oggi inchieste metropolitane e inediti format per fiction e documentari per varie destinazioni, etere, satellite e web, e tiene corsi di produzione video per i ragazzi delle periferie. HubTv a Firenze ha propagato il suo segnale cittadino grazie all’antenna gentilmente offerta da Orfeo Tv, fondata la scorsa primavera da Telestreet con lo slogan “facciamo cento, mille tv di quartiere, costruiamo un network e avremo una televisione a reale accesso pubblico”. Orfeo Tv trasmette in uno spicchio di Bologna, abita uno dei tanti “coni d’ombra” delle frequenze televisive dove è possibile inserirsi senza recare disturbo alle altre emittenti, ci si può sintonizzare in un raggio di qualche centinaio di metri, canale 51. Trasmette da via Orfeo, che ha dato alla tv il suggestivo nome. Palinsesto variabile, i programmi attualmente vanno in onda per qualche ora nel pomeriggio di un paio di giorni la settimana, il resto del tempo campeggia il monoscopio e l’audio è sintonizzato su una radio locale di informazione. I contenuti video spaziano dal locale al globale, dal parcheggio che qualcuno vuole costruire al posto del parco con gli alberi secolari fino all’annunciata guerra all’Iraq, tutti hanno diritto a dire la loro, i volti noti come i comuni cittadini. Chiunque può contribuire, promotori di contenuti razzisti e sessisti esclusi, le regole sono semplici. Obiettivo di Telestreet (www.telestreet.it) è creare una multiforme ed estesa redazione, una rete formata dalle centinaia di “nuclei” che dovrebbero nascere nelle città e nella provincia, l’auspicio e di veder circolare videocassette da e per ogni angolo della penisola e oltre. Coni d’ombra dove trasmettere ce ne sono ovunque, basta un ricevitore da antenna montato al contrario e la tv è fatta. Il progetto è talmente interessante da aver attirato l’attenzione concreta di Stefano Balassone, già consigliere di amministrazione Rai, ulivista che qualche anno fa con Guglielmi, Santoro e Costanzo lavorò al palinsesto di quella che chiamarono Telesogno, che mai vide la luce. Contatti e progetti che nascono e crescono nell’ombra, anzi nei coni d’ombra, della grande emittenza, inedito spazio resistente per una televisione di reale accesso pubblico, per tutti l’appuntamento è a Bologna, Teatro Polivalente Occupato, domenica 14 dicembre. Buona visione. Valentina Avon